L’Enrosadira. Nell’ora del tramonto, una luce quasi magica.

L’Enrosadira. Nell’ora del tramonto, una luce quasi magica.

L’Enrosadira. Nell’ora del tramonto, una luce quasi magica.

Molte sono le specifiche potenzialità che disegnano l’archetipo delle Dolomiti, patrimonio Unesco: la struttura del paesaggio, l’eccezionalità estetica, i contrasti di colore, la storia scentifica e antropologica, le leggende e la mitologia; e fra le tante peculiarità, non possiamo non accennare al fenomeno che con bella parola viene chiamato “enrosadira” : un fenomeno di rifrazione della luce, che si verifica specialmente sulle pareti dei monti dolomitici nell’ora del tramonto, una luce quasi magica che pare accedenrsi e diffondersi all’interno stesso delle rocce.

La parola ha il corrispondente tedesco in Alpenglühen, incendio alpino, volto poi poeticamente nell’oronimo Rosengarten, Giardino delle rose, il noto Catinaccio della Val di Fassa. Comunque, la voce risulta registrata nei glossari della Ladinia centrale e nella lettaratura non prima dell’inizio del XX secolo. Ovviamente, non è stata usata dal Carducci nell’ode “Cadore”, composta in occasione di una villeggiatura che il poeta effettuò nel 1892, e dedicata alle vicende del popolo cadorino: i noti versi “… Si che di rosa nel cheto vespero le Marmarole care al Vecellio rifulgan palagio di sogni, eliso di spiriti e di fate…“, richiamano indubbiamente una immagine di “enrosadira”

Qui riporto anche uno scritto dell’alpinista Domenico Rudatis, appassionato cantore della Civetta (“Rivelazione Dolomitiche”, Riv. mens. Cai, 1927). Cito: “…penetrata dagli ultimi radiosi sguardi solari la pallida dolomite ha quasi un fremito di vita, s’imporpora e trascolora prodigiosamente, e tutte le mura, le torri, le guglie cominciano a risplendere come avvolte d’aurei rivestimenti d’inesplicabile magnificenza, mentre negli angoli e nelle rientranze lievi ombre si riverberano di un bel viola e di azzurro. Il tramonto sulla Civetta per l’orientamento e levigatezza della parete fa un fulgore più intenso che in certe altre Dolomiti, non è così roseo e delicato, non ricorda quello sul Catinaccio, il favoloso Giardino delle Rose (Rosengarten) di Re Laurino…“. Così l'”enrodadira” sulla parete N0 della Civetta!

Anche le battute finali della nota composizione di Richard Strauss “Sinfonia alpestre”, sono una descrizione in termini musicali dello spegnersi del crepuscolo, mentre la natura si addormenta in una quiete infinita. Tuttavia non si deve pensare che il fenomeno ottico di cui si parla sia esclusivo delle Alpi Dolomitiche, è visibile anche nelle Carniche, nelle Giulie, e perfino nei grandi gruppi chiacciati delle Alpi occidentali (Monte Rosa, Cervino ecc). Insomma è un fenomeno comune a tutte le montagne.

Fin qui abbiamo parlato prevalentemente del crepuscolo vesperino. In realtà vi sono due crepuscoli della stessa sostanza: “enrosadira” e “aurora”. Non posso non prendere a prestito dall’antica poesia greca (Omero, Odissea) i versi che meravigliosamente suonano “…la mattutina aurora dalle dita di rosa…

Per completare il discorso ricordo il popolare “rosso di sera buon tempo si spera”, che anche Gesù Cristo citò, quando rimproverò severamente i farisei che gli chiedevano un segno dal cielo: “Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perchè il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perchè il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?” (Matteo, 16, 1,3). Parlava ovviamente del tempo della sua venuta.

La fortuna della nostra parola è venuta con la diffusione degli scritti di K.F. Wolff, il noto raccoglitore delle leggende dolomitche; alcuni ritengono addirittura che egli ne sia l’inventore. Infine come non notare che il colore dell'”enrosadira” è quasi d’obbligo in molti poster d’epoca in cui le montagne dolomitche lo vestono?

Ho considerato l'”enrosadira” sotto l’aspetto paesaggistico, poetico, letterario ecc. Aggiungo una postilla; chi ha contemplato anche una sola volta l'”enrosadira”, non può sottrarsi alla considerazione tutt’ora interiore e conturbante, dell’addio alla vita al termine della parabola dell’esistenza.

Testi di Pier Giovanni Fain – Sez. Cai Livinallongo.

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